Il Tempo delle Mosche e delle Farfalle


Autore: Stefano Tortora

Correvamo in un campo lacerato. Abbiamo poco tempo, poi il fragore ricomincerà. La pioggia della mattina non ha portato acqua ma piombo, un mare di piombo che ricopre la terra sofferente. È il tempo delle mosche e delle farfalle. Mosche affamate attirate dall’odore di facile guadagno, sciacalli del dolore, non esitano a derubare neppure chi ha perso tutto, anche per poche monete o una sigaretta. Poi ci siamo noi, le farfalle di Dio, unico abito bianco che si confonde nell’aria grigia e polverosa. La fede e la speranza sono le stampelle che offriamo a chi soffre e i fiori che posiamo su chi è morto. Non facciamo differenze fra i compagni caduti e gli avversari infedeli, senza Dio e senza al di là. Con il volto sfigurato dalla paura i morti sono tutti uguali.
Eccone uno, la pelle scura, gli occhi mandorlati e blasfemi tatuaggi tribali sulle braccia. Gli occhi vuoti spalancati hanno fotografato i suoi ultimi momenti: angoscia  e consapevolezza del nulla. “benedici e passa oltre -mi dico- non vedi? Sono uomini abbandonati dalla propria fede. Guarda i tuoi fratelli e nutriti della loro speranza nell’Eliseo. È l’unica cosa che ti spinge a vivere in mezzo al massacro”.
Eccone uno, la pelle candida, gli occhi azzurri e i capelli perfettamente rasati. Le palpebre sono serrate. “Lo vedi? Questa è l’espressione di un uomo che ha trovato la pace anche in una morte dolorosa”. Lo sto per benedire quando sento un colpo di tosse soffocato. È ancora vivo. Lentamente apre gli occhi e mi fissa intensamente come se fossi una luce abbagliante in mezzo al buio. Non mi illudo, ormai per lui la morte è certa. Ma non aspetto altro che di vederle quelle pupille ancora nascoste consapevoli di essere destinate ad un mondo migliore.
Delusione, amara verità: nei suoi occhi non c’è Paradiso. Mi accorgo di quanto è giovane come mai ne avevo visti prima. Ogni certezza cade in un vuoto di dubbio. Perché questo ragazzo non ha fede? Forse è troppo giovane e non può comprendere il vero dell’esistenza. No, i suoi occhi arrivati al limitare dell’esistenza stessa sono vuoti di speranza, ma pieni di verità; verità disillusa che non desidera altro che essere colmata da sogni. Lui sa che non c’è nulla che lo aspetta, né un Dio misericordioso né la pace eterna. Ma allora a cosa servono le falsità di cui mi sono sempre cibato e di cui non potevo fare a meno, come di una droga? Sento un sibilo uscire da quelle labbra ormai bianche per il poco sangue che le irriga. “Benedicimi…” mi prega. Ci provo, ma non mi vengono le parole, come se avessi dimenticato come si fa a parlare con Dio. Non le ho dimenticate, è lui che non c’è più. “Benedicimi…”. Lo so, ragazzo, ti capisco; ma come posso riempirti di menzogne? A cosa gioverebbe? “Dammi un futuro…”. Fu una seconda rivelazione, come quando l’angelo mi apparve in sogno e mi condusse in chiesa. Le preghiere sono tornate. Un ragazzo probabilmente analfabeta mi ha rivelato il vero scopo della mia fede. Lo benedico, sorride, passo oltre.
Correvo in un campo lacerato. Ho poco tempo, poi il fragore ricomincerà. Intanto le farfalle dispensatrici si avviano verso casa.

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